Normativa nuovi contratti di lavoro – Licenziamenti illegittimi

Nella storia del diritto del lavoro il legislatore è stato ispirato dal monito della Corte Costituzionale: una sorta di mito fondativo del nostro sistema di tutela contro i licenziamenti illegittimi. Infatti, il legislatore nell’introdurre la tutela c.d. “obbligatoria”( L.n. 604/1966) e più tardi la tutela c.d. “ reale” (art. 18, 35, L n. 300/1970) contro i licenziamenti individuali è stato indirizzato ad agire dalla Corte Costituzionale e in particolare dalla sentenza del 1965 dal seguente tenore letterale: “la garanzia costituzionale (art.4) del diritto al lavoro esige che il legislatore, nel quadro della politica prescritta dalla norma costituzionale, adegui, sulla base delle valutazioni di sua competenza, la disciplina dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato, al fine ultimo di assicurare a tutti la continuità del lavoro, e circondi di doverose garanzie – particolarmente per quanto riguarda i principi fondamentali di libertà sindacale, politica e religiosa, immediatamente immessi nell’ordinamento giuridico con efficacia erga omnes e dei quali, perciò, i pubblici poteri devono tenere conto anche nell’ interpretazione ed applicazione del diritto vigente – e di opportuni temperamenti i casi in cui si renda necessario far luogo a licenziamenti”.
L’introduzione del principio di “giustificazione” del licenziamento individuale (ai sensi della L. 11 maggio 1990 n° 108) attuava quelle doverose garanzie e quegli “opportuni temperamenti” auspicati dalla Corte. La nullità del licenziamento discriminatorio e la continuità del rapporto di lavoro (art. 4, L. 604/1966) attuava quella garanzia che la stessa Corte pronosticava per la tutela della libertà sindacale, politica e religiosa. Il progressivo rafforzamento della tutela contro i licenziamenti, però va incontro ad un rapido cammino a ritroso con la riforma della tutela reale (di cui alla L.n°92 del 2012, Legge Fornero). Tale legge ha stabilito, infatti, che il lavoratore può essere reintegrato solo in caso di “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo”, prevedendo “ nelle altre ipotesi” di licenziamento illegittimo esclusivamente una tutela indennitaria (da 12 a 24 mensilità dell’ultima retribuzione di fatto). Il ridimenzionamento della tutela reale per i licenziamenti illegittimi diversi da quelli discriminatori (o ad essi equiparati) previsto dalla c.d. “riforma Fornero”(L.n° 92 del 2012), parimenti, risulta rafforzato ed intensificato dalla disciplina in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato “a tutele crescenti” (D.L.gs 4 marzo 2015 n°23). Comunque, il cammino a ritroso inferto alla tutela reale dalle riforme (di cui alla legge Fornero ed al D.L.gs. n. 23 del 2015) non influisce sull’obbligo di giustificazione dei licenziamenti, che peraltro risulta, ora garantito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea. Quindi anche dopo le riforme, il licenziamento del prestatore di lavoro non può avvenire che per giusta causa o per giustificato motivo, cioè non sono cambiati i presupposti di un licenziamento legittimo. Infatti,ai sensi della legge 15 luglio 1966 n.604,” nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato,…il licenziamento del prestatore di lavoro non può avvenire che per giusta causa ai sensi dell’art. 2119 c.c.(ovvero per una causa che non consente la prosecuzione nemmeno provvisoria del rapporto di lavoro) o per giustificato motivo”, per tale intendendosi un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ( il c.d. giustificato motivo soggettivo), ovvero una ragione inerente all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa (il c.d. giustificato motivo oggettivo). Con l’ entrata in vigore del D.L.gs.4 marzo 2015, n.23 che disciplina il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a tutele crescenti, ciò che cambia rispetto alla normativa previgente, sono le conseguenze nell’ipotesi in cui sia accertata in giudizio l’illegittimità del licenziamento. Il contratto a tutele crescenti, infatti, sembra essere niente altro che un contratto a tempo indeterminato, mentre crescente, in relazione all’anzianità di servizio, è soltanto l’indennizzo economico comminato per i licenziamenti illegittimi a tutti i lavoratori subordinati (non dirigenti) assunti a decorrere dal 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del decreto legislativo. Il nuovo regime si applica , anche, all’esito della conversione di un contratto di lavoro a tempo determinato, ovvero in caso di prosecuzione di un contratto di apprendistato. Punto qualificante del contratto a tutele crescenti è attribuibile dal superamento della possibilità per il giudice di ordinare la reintegrazione del lavoratore riguardo alle ipotesi di accertamento dell’illegittimità del licenziamento sorretto da ragioni economiche (per giustificato motivo oggettivo). Dunque, per tali licenziamenti, la reintegrazione scompare dal novero delle tutele applicabili. La limitazione del diritto alla reintegrazione previsto, in via eccezionale, ai licenziamenti discriminatori, nulli e intimati oralmente, resta possibile solo nei licenziamenti disciplinari (per giusta causa o giustificato motivo soggettivo) qualora venga provata dal lavoratore l’insussistenza del fatto materiale posto alla base del licenziamento. Pertanto, al di fuori delle ipotesi eccezionali, alle quali continua ad applicarsi la reintegrazione nel posto di lavoro, trova applicazione la regola della tutela indennitaria. Il legislatore ha introdotto un duplice regime di tutele, basato sul dato temporale dell’assunzione (con una data chiara di riferimento il 7 marzo 2015, giorno di entrata in vigore del decreto) che porta ad una differenziazione di trattamento tra “vecchi assunti” e “nuovi assunti”. Quindi, è chiaro che per i contratti a tempo indeterminato precedenti a tale data, qualora siano invocate le protezioni di cui all’art. 18 st. lav., il giudizio di impugnazione del licenziamento continuerà ad essere sottoposto al rito Fornero. D’ altra parte, le “tutele crescenti” rappresentano la ennesima “scissione” del mondo del lavoro italiano, destinata a immortalarne l’asimmetria, ora fra vecchi e nuovi assunti: ancora tutelati i primi, licenziabili a costi sensibilmente ridotti i secondi. Accade, quindi, che lavoratori, occupati nella stessa impresa, con la stessa qualifica e le medesime mansioni, avranno un trattamento differente su un istituto cruciale del rapporto di lavoro come quello relativo ai limiti del potere di licenziamento. Infatti gli uni, licenziati per la medesima fattispecie, potranno ottenere, in assenza di giustificato motivo, la reintegrazione del rapporto, mentre per gli altri il licenziamento ingiustificato verrà solo monetizzato.