Abitazione ricevuta ad uso gratuito dal genitore, per residenza della famiglia.

Molte incertezze sorgono riguardo il contratto di comodato stipulato tra genitore e figlio, che unendosi in matrimonio, destini successivamente l’abitazione ricevuta ad uso gratuito a residenza della neo costituita famiglia.

Ogniqualvolta il rapporto coniugale è in crisi sorge il dubbio riguardo la sorte del contratto di comodato. In particolare, la giurisprudenza si interroga sulla conciliabilità tra il provvedimento di assegnazione della casa familiare, posto in essere dal Giudice, ed i diritti del concedente il comodato.

Negli ultimi anni tale questione è stata vagliata in più occasioni dalla Suprema Corte che ha tentato di chiarire le divergenti opinioni giurisprudenziali in merito.

Le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno affermato che qualora l’abitazione, concessa in comodato, sia stata destinata a residenza familiare, ciò è in grado di attribuire al contratto di comodato un implicito termine di durata, da ravvisarsi nella persistenza delle esigenze abitative della famiglia, secondo le disposizioni dell’art. 155 quater c.c. (oggi art. 337 sexies c.c. ).

Pertanto, il comodante non può recedere ad nutum dal contratto di comodato che continua a produrre i suoi effetti anche in caso di crisi del rapporto coniugale.

Si è anche sostenuto che tale posizione rischia di spostare eccessivamente il baricentro della tutela in favore delle esigenze familiari, sacrificando la posizione giuridica del terzo concedente il comodato. Infatti, a differenza del coniuge proprietario, tenuto a rispettare la solidarietà post coniugale, in ragione della tutela costituzionale dell’istituto familiare, i terzi non dovrebbero essere costretti a subire una situazione destinata a durare indeterminatamente nel tempo.

Le Sezioni Unite poi puntualizzano che la concessione in comodato di un’ abitazione al fine di adibirla a casa familiare è da ricondursi allo schema del comodato ordinario regolato dagli art. 1803 e 1809 c.c. e non, come sostenuto da alcune pronunce giurisprudenziali, all’ipotesi del comodato precario al quale si riferisce l’art. 1810 c.c., sotto la rubrica “comodato senza determinazione di durata”.

Tale assunto trova conferma nella circostanza, più volte ribadita dalla Suprema Corte, che il comodante è consapevole, quando conclude il contratto, di concedere l’abitazione in comodato per un uso specifico e determinato da individuarsi nella destinazione a casa familiare e tale destinazione è indipendente dall’insorgere di un’eventuale crisi coniugale.

Tuttavia, il comodante, in applicazione del disposto dell’art. 1809, comma secondo, c.c., può richiedere la restituzione dell’immobile concesso in comodato, solo in caso di sopravvenienza di un urgente ed imprevisto bisogno.

La portata del bisogno, si precisa, non deve essere grave, bensì imprevisto, sopravvenuto riguardo al tempo della stipula, e urgente.

È da ritenersi altresì esclusa la rilevanza di un bisogno non attuale e non concreto. Il bisogno deve essere un bisogno serio, non capriccioso o artificiosamente procurato.