Diffamazione a mezzo internet

La società moderna è complessa e articolata e molteplici e diversi sono gli strumenti comunicativi, le forme espressive e le finalità delle comunicazioni.
In tale ambito la diffamazione, delitto contro l’onore, consistente nell’offesa all’altrui reputazione, ha ormai superato la dimensione interpersonale per diventare, molto spesso, “mediatica”, diretta a un numero indeterminato e sconosciuto di destinatari.
La grande diffusione della notizia denigratoria, essendo veicolata dai media, infonde a essa un potenziale offensivo maggiore di quello espresso dalla semplice maldicenza interpersonale e viene spesso strumentalizzata per fini di polemica politica, sociale, scientifica, religiosa.
L’unica diffamazione “mediatica” distintamente prevista dal codice penale è quella “a mezzo stampa”, ex art.595, 3°comma c.p., e tale articolo al 3° comma specifica che “se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è…”.
La giurisprudenza non ha perplessità che tra tali altri media rientrassero le comunicazioni telematiche e quindi anche quelle via internet e tra queste quella via mail, chat-line, sms (Cass.sez.I, 29.4-17.5.2005, n.18449; Cass., sez.I,3.5-29.52007, n.21158).
Dunque, la diffamazione tramite internet costituisce sicuramente un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi del 3°comma, dell’art.595 c.p.
Infatti, presupponendo l’assenza del diffamato, la diffamazione è un delitto che si consuma in mancanza della vittima ed, anche per questo, è punito in modo più grave rispetto all’ingiuria.
Internet, quale strumento moltiplicatore della comunicazione, diffonde messaggi decisamente eterogenei, anche quanto alla forma, si va dalle e-mail, alle comunicazioni tramite chat-room, ai siti web.
Si tratta, appunto, di comunicazione amatoriale, di una comunicazione tra più individui, che hanno accesso, anche nel medesimo tempo, all’agorà elettronica, con un reciproco scambio di messaggi e ciò può determinare maggior possibilità di diffusione di comunicazioni diffamatorie meritevoli di un più severo trattamento penale.
Insomma, la “ libertà di internet” non può che esprimere la libertà di accesso e di utilizzo della rete, estrinsecandosi questa nella libertà di pensiero e comunicazione, ma ciò non può manifestarsi in possibilità di recare impunemente offese ad altri e, pertanto, ciò che non è consentito al di fuori di internet, non è consentito in nessun caso in internet.
Il provider, inoltre, si limita a mettere a disposizione dell’utilizzatore uno spazio web, impiegato presso un suo server, ma l’inserimento dei dati in tale spazio non dipende da alcuna successiva

attività del provider, né di altro soggetto che si trovi presso il provider o presso il server, ma esclusivamente dall’attività dell’utilizzatore stesso.
L’informazione tra diversi soggetti interconnessi è garantita come libertà fondamentale (art.21, Costituzione, diritto di manifestazione del pensiero), ma richiede il rispetto delle norme di legge che prevedono forme di responsabilità, civili e penali, per attività svolte in violazione dei diritti dei terzi.
Si deve precisare altresì che non trova applicazione, per blog, mailing list, chat, newsletter, email, e newsgroup, la tutela costituzionale di cui al 3° comma, dell’ art. 21, della Costituzione, e cioè la speciale protezione prevista per la libertà di stampa.
Infatti, queste forme di comunicazione telematica sono espressione del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, ma non godono della tutela costituzionale in tema di sequestro della stampa, rientrando invece nei generici siti internet, che non sono soggetti alle tutele e agli obblighi della normativa sulla stampa.
Questi siti sono quindi sequestrabili preventivamente, nonché oscurabili parzialmente, anche nel caso di pubblicazione dal contenuto diffamatorio.
In relazione alla diffamazione informatica sono state sollevate questioni giurisprudenziali di diritto processuale circa la competenza territoriale.
In ambito penale, la Suprema Corte ha affermato la natura di reato di evento, del delitto di diffamazione, ed ha individuato la competenza nel giudice del luogo in cui si è presumibilmente verificata la seconda percezione del messaggio denigratorio, in termini tecnici, “ove si è consumato il reato”.
Infatti la diffamazione si consuma nel momento e nel luogo in cui i terzi percepiscono l’espressione offensiva.
La notizia diffamatoria mediatica, invece, può essere percepita da più utenti collocati in differenti siti del territorio nazionale, anche contestualmente, e, proprio per questo, può apparire problematica l’individuazione del luogo in cui deve ritenersi consumato il reato commesso a mezzo internet e quindi individuare la competenza.
Pertanto, al fine di determinare la competenza territoriale, si dovrà fare riferimento al criterio sussidiario, ex art.9 e 10 c.p.p.
In conclusione, scrivere sulla bacheca Facebook un post offensivo nei confronti di qualcuno integra il reato di diffamazione aggravata previsto dall’art. 595, 3°comma c.p., come se l’offesa alla reputazione fosse portata dalle pagine di un giornale (così ha deciso la Cassazione, Sentenza 8 giugno 2015, n. 24431, stabilendo la competenza in favore del tribunale e non del giudice di pace).
La giurisprudenza, inoltre, nell’individuare il giudice competente, ha finito per affermare l’applicabilità della regola suppletiva di cui al comma 2°, dell’art. 9 c.p.p. e cioè attribuire la competenza al giudice del luogo di residenza dell’imputato.