L’assegnazione della casa familiare, in caso di separazione e divorzio tra coniugi.

L’assegnazione della casa familiare, in caso di separazione e divorzio tra coniugi, è una questione dolente sulla quale molto si dibatte, sia in giurisprudenza che in dottrina. Il termine normativo è l’art. 155 c.c. (oggi art. 337 sexies c.c. ) con il quale il legislatore del 2006 tende ad arginare i rischi di effetti gravemente pregiudizievoli per i figli minori in conseguenza delle scelte dei genitori in sede di separazione. In realtà, la riforma della filiazione del 2013 ha abrogato l’art. 155 quarter e attualmente l’istituto dell’assegnazione della casa familiare è disciplinato dall’art. 337 sexies c.c. che con tenore identico al precedente articolo, afferma che l’assegnazione debba avvenire “tenendo prioritariamente conto dell’ interesse dei figli”. Pertanto, la tutela dell’interesse della prole rappresenta l’unica ratio ispiratrice dell’istituto. Va ricordato che la nozione di “casa familiare”, prospettata dalla dottrina, può intendersi in una duplice dimensione. Infatti, la casa familiare con le relative pertinenze può interpretarsi come l’abitazione in cui il nucleo familiare ha vissuto, mentre sotto l’aspetto soggettivo la nozione di casa familiare può intendersi come l’habitat domestico, inteso come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare. Quindi il legislatore, considerato l’intenso significato esistenziale della casa familiare soprattutto per i figli minori, ha ritenuto opportuno consentire al giudice, in sede di separazione o di divorzio, di assegnare ad uno dei coniugi il diritto di seguitarvi a vivere con la prole. In tale ottica, l’interesse dei figli costituisce il criterio ermeneutico principale che il giudice è chiamato ad applicare in ogni suo provvedimento. Dopo qualche divergenza nel passato è ormai categoricamente ribadito anche dalla Suprema Corte di Cassazione che l’assegnazione della casa coniugale, pur avendo anche importanti riflessi economici, non può essere disposta per sopperire alle esigenze economiche del coniuge più debole, a garanzia delle quali è unicamente destinato l’assegno di divorzio (Cass. Civ. 22 luglio 2015 n. 15367 ). E’ importante evidenziare, anche se non riguarda il suo caso specifico che l’attribuzione della casa coniugale non presuppone necessariamente la presenza di figli minori potendosi, come segnalato dalla Suprema Corte, procedere all’assegnazione anche in presenza di figli maggiorenni, ma privi di reddito senza propria colpa. All’opposto, non vi è ragione di procedere all’attribuzione della casa familiare quando i figli sono, al momento della separazione, già irrimediabilmente sradicati dal luogo in cui si svolgeva l’esistenza della famiglia. Per quanto riguarda il suo caso ritengo che l’attribuzione del titolo di abitare la casa coniugale ad uno di voi due sarà giustificato esclusivamente tenendo conto dell’interesse di vostro figlio minorenne. Infatti, quest’ultimo dovrà conservare lo stesso ambiente di vita domestica goduto in precedenza per avere, nonostante la rottura del rapporto coniugale, una crescita armonica. Pertanto, il giudice della separazione potrà assegnare alla moglie l’abitazione della casa coniugale (di proprietà esclusiva del marito ) se il figlio verrà affidato alla stessa.