Obbligo di mantenimento in favore del figlio minorenne. Revoca dell’affidamento condiviso.

La nuova formulazione dell’art. 337 quater c.c. riprende il contenuto in parte dell’ art. 155 bis c.c. e consente al giudice di decidere di revocare l’ affidamento condiviso in favore dell’ affidamento esclusivo.
Tale norma specifica che:” il genitore cui sono affidati i figli in via esclusiva, salva diversa disposizione del giudice, ha l’ esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale su di essi, egli deve attenersi alle condizioni determinate dal giudice. Salvo che non sia diversamente stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori. Il genitore cui i figli non sono affidati ha il diritto ed il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli per il loro interesse”.
Pertanto, dinnanzi a una crisi familiare, nonostante che l’ affidamento condiviso rappresenti la forma da seguire nella normalità, è possibile derogare a tale regola quando ciò risulti più conforme al superiore interesse del minore.
Punto di riferimento per il giudice è esclusivamente l’interesse morale e materiale del minore. La giurisprudenza è, infatti, concorde nel ritenere che deve essere preferito, quale genitore affidatario, quello maggiormente idoneo ad assicurare il miglior sviluppo della personalità del figlio, in quel contesto di vita capace di soddisfare tutte le esigenze di cui egli è portatore con riferimento alla situazione in atto. Il genitore non affidatario può concordare con il genitore affidatario solo le decisioni di maggiore interesse. Per decisioni di maggiore interesse ci si riferisce alle scelte riguardanti la salute, l’ educazione, l’ istruzione e la fissazione della residenza abituale.
Il genitore a cui non sono affidati i figli che ricordiamo conserva sempre la titolarità della responsabilità genitoriale, ha il diritto – dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e se ritenesse che fossero state assunte decisioni pregiudizievoli per l’ interesse dei figli potrà ricorrere al giudice.
L’ affidamento esclusivo si pone, dunque, come ipotesi di carattere eccezionale, come estremo rimedio per ovviare a quelle situazioni nelle quali l’ affidamento condiviso si rivela pregiudizievole per i figli minori. Resta da chiedersi quando il predetto interesse del minore consenta di adottare un provvedimento di affido esclusivo. Sarà compito del giudice valutare caso per caso, in base alle singole e diverse fattispecie concrete, ciò che è contrario al citato presupposto. Tra le situazioni idonee a fare applicare lo strumento in oggetto vi rientrano le condotte violente tenute da uno dei genitori, l’ aver apposto ostacoli alla relazione tra l’ altro genitore e il figlio, ovvero le manifestazioni di disinteresse serio per i bisogni del minore.
Dinnanzi all’ ipotesi di violazione degli obblighi economici stabiliti dal giudice diverse sono state le interpretazioni giudiziarie sull’ applicazione o meno di questa misura.
Il punto è stato ultimamente chiarito dalla Suprema Corte (Cass. Sez. I,17 dicembre 2009,n. 26587) e tale strumento è divenuto uno dei mezzi di rafforzamento dei provvedimenti a contenuto patrimoniale. Si è stabilito, infatti, che il giudice può revocare l’ affidamento condiviso nel caso in cui il genitore tenuto al versamento di un contributo mensile per i figli ometta di provvedervi. Proprio la particolare natura dell’ obbligo rispetto al quale si verifica l’ inadempimento, per le sue ricadute negative a livello formativo e morale per il minore, consente di giustificare e quindi permettere l’ utilizzabilità di uno strumento come quello della revoca dell’ affidamento condiviso.
Pertanto, l’ istituto di cui all’ art.337 quarter c.c. è uno strumento idoneo ad esercitare una forte forma di pressione e ad agevolare l’ adempimento del soggetto recalcitrante, specialmente se costui voglia evitare gravi ripercussioni sul suo rapporto col minore. L’ ordinamento appresta una ulteriore forma di garanzia con la norma penale prevista dall’art. 570 comma 2, n.2 c. p. volta a sanzionare le condotte lesive degli obblighi di assistenza familiare.
Tale delitto non è posto quale sanzione dell’ inadempimento civile, poiché obbligo civile e obbligo penale hanno ratio e presupposti di natura giuridica differenti.
Per la norma penale il bene tutelato è quello di non far mancare i mezzi di sussistenza all’ avente diritto in stato di bisogno.
I mezzi di sussistenza vengono individuati in ciò che è indispensabile per vivere e comprendono la soddisfazione di tutte le esigenze della vita quotidiana quali: vitto, abitazione, medicine, vestiario, istruzione, attività di vacanza, ludiche e svago.
Lo stato di bisogno, riguardante il minore ex articolo 570, comma 2, n. 2, c.p. è sempre presunto e sullo stesso non incide l’ intervento in sostituzione posto in essere da terzi, né appare determinante lo stato di disoccupazione del genitore.
L’ impossibilità assoluta della somministrazione dei mezzi di sussistenza esclude il reato in esame solo quando sia incolpevole. Quindi, l’ obbligato non potrà esimersi da responsabilità in base alla mera documentazione formale dello stato di disoccupazione.
Pertanto, se l’ omesso adempimento del padre è espressione di indifferenza, anche affettiva verso le sorti del figlio minore per avergli fatto mancare i mezzi di sussistenza e averlo posto in stato di bisogno per un tempo prolungato, il delitto deve ritenersi consumato.